venerdì 17 maggio 2013

Diventare Genitori 2013 - Letture fin dalla culla


17 MAGGIO 2013
La Dr.ssa Monica Pierattelli ci consiglia.........leggere fa bene fin dalla nascita

Diventare Genitori 2013 - Il ruolo della acquaticità nello sviluppo psico-motorio del bambino

L’acqua nella relazione genitore bambino
di Paola Greco Ostetrica
L’acqua offre la possibilità di creare una relazione con il proprio piccolo basata sull’esperienza del gioco, del rispetto e della novità dell’ambiente. Il mio lavoro con i bambini preferenzia proprio gli aspetti della relazione: per questo non ha schemi né programmi da seguire. Il genitore è sollecitato ad assecondare i tempi del bambino e il suo piacere. In questo modo le capacità del piccolo, qualsiasi età abbia, si possono esprime serenamente, senza forzature. Occorre tenere infatti presente che sono le modalità di come il genitore propone l’esperienza che permetteranno al bambino di creare il contatto con il mondo e, quindi, di accettarne le variabili. L’acqua è una di queste e la sua accettazione, e il modo in cui il bambino starà in acqua, dipenderà dalla disponibilità del suo accompagnatore a metterlo al centro di questa sua esperienza. Il genitore che accompagna il bambino in acqua è uno solo. L’altro sta lontano dalla vasca, proprio per facilitare la creazione di una maggiore intimità nella coppia che sta lavorando, e non metterla nello stress di dover dimostrare cosa sanno fare. Soprattutto nei primi mesi di vita, chi guarda da fuori non può  valutare la qualità del lavoro che il bambino sta facendo, perché si tratta di un lavoro raffinato di adattamento. L’adulto ha un ruolo fondamentale. Il modo in cui si pone, il tono della voce, la sicurezza che trasmette con il contenimento, permettono al bambino di apprezzare l’immersione in acqua. È proprio perché l’acqua suscita nel bambino curiosità e voglia di sperimentare che quando il piccolo viene messo a suo agio prova qualcosa che non è certo nuotare, ma un misto di fiducia nel sostegno dell’altro e nelle proprie possibilità. L’accoglienza in acqua va molto curata, soprattutto le prime volte, cominciando dall’entrata sul bordo vasca, che è importante, perché il bambino non è abituato né a spazi grandi come quelli delle piscine, né al rimbombo dell’acqua e delle voci. Il fatto di essere in parte vestiti li rassicura. Perciò  le madri si cambiano nello spogliatoio, mentre ai bambini vengono tolte solo le cose più grosse e sono denudati completamente sul bordo vasca, dove vengono apprestate delle zone adibite al cambio. I più piccoli hanno bisogno di un po’ più di tempo per familiarizzarsi con l’ambiente. Ai lattanti viene proposto il seno prima di immergersi: il latte materno ha una immediata digeribilità e il bambino ne può  usufruire anche durante il bagno. Il genitore che accompagna il bambino in acqua entra per primo, da solo. Si deve abituare al cambiamento di temperatura, in modo che la sua esitazione nell’entrare non influenzi il bambino. Quando gli porgiamo il piccolo, lo abbraccia e comincia a spostarsi in acqua guardandolo negli occhi ed esprimendo la gioia di essere lì insieme. Il movimento e la carezza dell’acqua permetteranno al bambino di non avvertire il fresco come un brusco passaggio. Nei miei corsi i bambino si bagnano nudi. Questo permette loro di avere una sensazione globale del loro corpo, rafforzando la conoscenza di se stessi e il benessere. Infatti si sa che i bambini immersi in acqua a temperatura intorno a 31 gradi non hanno la dilatazione dello sfintere anale, per cui tengono la cacca spontaneamente.
Anche l’uscita dall’acqua deve essere curata. Il bambino viene avvolto in un grande asciugamano, ma non viene frizionato, perché tutti i movimenti che gli proponiamo sono dolci. Nei miei corsi arrivano bambini dai 50 giorni ai venti mesi, divisi per fasce di età, in modo da rispettare il più possibile la loro evoluzione psico-fisica. La prima fascia riguarda i bambini fi no a 3 mesi, la seconda dai 3 ai 10, la terza dai 10 ai 15, la quarta dai quindici in su. Nella mia esperienza ho visto che i bambini, per stare a proprio agio nell’acqua, hanno bisogni diversi a seconda dell’età, ma ritengo che per nessuno di loro sia necessario usare giocattoli o altri oggetti. Nei primi tempi i genitori mi chiedevano il perché di questa mia scelta: infatti ci sono piscine nelle quali galleggiano talmente tanti giocattoli che è difficile muoversi. Per i piccolissimi le cose essenziali  sono non aver fame né freddo, avere un genitore che li sappia ben tenere a galla e sappia far cambiare loro posizione con maestria. Fondamentale è che non siano stanchi. In tutto questo la presentazione di un oggetto non aggiunge nulla. Nel secondo gruppo abbiamo bambini che già distinguono bene l’oggetto e cominciano a manipolarlo. Ma appena entrano in contatto con questo si fermano per osservarlo e l’attenzione, sia del bambino che del genitore, si sposta dall’acqua all’oggetto. Una grande quantità di oggetti provoca continuamente queste distrazioni. In questo modo il bambino viene privato delle qualità essenziali che l’acqua gli offre: la stimolazione cutanea, l’equilibrio e i facili cambiamenti di posizione, l’abbraccio totale del liquido e la coscienza della sua corporeità. I bambini che hanno un oggetto transferenziale se ne separano serenamente al momento in cui gli viene off erto di fare una nuova piacevole esperienza. Ciuccio, cencini, animali di peluche, vengono abbandonati senza alcun dispiacere sul piano vasca: il contatto pelle a pelle con il genitore infatti lo ripaga e lo soddisfa. Il più delle volte il giocattolo è un bisogno del genitore, quando è in  difficoltà nel trovare modi nuovi per giocare e diventare lui stesso il gioco preferito del figlio. La mancanza di oggetti ha il vantaggio di centrare l’interesse della coppia genitore bambino sulla relazione e sul donare sicurezza e fiducia reciproca. Del resto è difficile tenere un oggetto in mano e fare giochi acquatici. I bambini dai 12 ai 15 mesi cominciano a conquistare la postura in piedi e devo dire che è proprio quella la cosa che interessa loro di più sperimentare. Nelle piscine fornite di scale larghe per scendere in acqua, approfitto dell’aiuto dei gradini per sperimentare l’alzarsi e il sedersi, il deambulare senza mani, scendere gli scalini … tuffarsi. La sperimentazione dell’equilibrio in acqua è molto divertente sia per i bambini che per i genitori. Nelle vasche dove non ho i gradini, lavoro con un tappeto con i buchi. Stare seduti su una superficie fluttuante, mette alla prova nel bambino il suo senso dell’equilibrio; quelli “più spericolati” ci gattonano sopra e lo adoprano per i tuffi  . Nelle piscine da fisioterapia ci sono le sbarre che utilizzo in vari modi, ma fondamentale è la presenza attiva, gioiosa e propositiva del genitore, per cui anche il tappeto e la sbarra rimangono di importanza secondaria. A volte i genitori sono portati ad enfatizzare il lavoro in acqua, e lo interpretano sulla base di alcuni luoghi comuni. Per esempio, pensano che i bambini amino l’acqua perché la loro esperienza prima della nascita era acquatica. In realtà sono rari i bambini che mi arrivano dopo 50 giorni dalla nascita che amino avere l’acqua fra bocca e naso, e che sopportino con piacere una immersione più lunga di 3 o 4 secondi.
Qualsiasi proposta venga fatta al bambino parte dall’osservazione del suo gradimento e della sua disponibilità. Per esempio, il proporre le immersioni prima dei sette mesi viene a far parte di un gioco di condizionamenti che nulla ha a che vedere con le normali scoperte
L’acqua nella relazione genitore bambino che il bambino fa giorno dopo giorno. L’immagine del bambino delfino è accattivante nelle aspettative dei genitori, e molti vorrebbero tornare a casa, ogni fine lezione, per raccontare le gesta di un bambino con capacità eccezionali. Queste capacità ci sono e devono essere facilitate perché si possano esprimere in modo naturale, con i tempi del bambino. Nella relazione con i genitori questo è un obiettivo che ho sempre presente e il cui raggiungimento richiede un intenso lavoro di relazione mia con loro. Nei miei corsi non mi interessa sollecitare risultati che vengano raggiunti attraverso il condizionamento e l’allenamento. Preferisco utilizzare l’acqua per rafforzare il legame e la fiducia dei componenti della coppia, l’uno per l’altro; per i genitori poi è uno dei mezzi per comprendere qual è il ruolo migliore per poter accompagnare il loro bambino, sia nel porgere le esperienze, sia nel trovare gesti che siano rassicuranti e generatori di fiducia. La situazione acqua, infatti, è una novità sia per il bambino che per l’adulto che lo accompagna, che deve trovare in se stesso le motivazioni per fare questo tipo di esperienza. L’acqua diventa un luogo nel quale vengono messe in evidenza la possibilità di relazione che di solito l’adulto non sfrutta. Si possono osservare in acqua diversi comportamenti genitoriale che sono più evidenti perché delimitati dal tempo. Per esempio non sono rari i genitori che esigono un risultato evidente ad ogni lezione.
La coppia che entra in acqua è formata da un individuo per il quale tutto è nuovo e  da un altro che ha già fatto le sue esperienze, e se le porta come un bagaglio dal quale non può  prescindere. Spesso noto, soprattutto nei primi incontri, la tendenza a tenere il bambino in modo forte, per paura di non essere capaci di assecondare i movimenti e per paura di farlo cadere in acqua. Genitori più sensibili sentono le variazioni delle possibilità che ha il sostegno in acqua, ma avvertono anche il cambiamento del loro piccolo nella fiducia con l’acqua, e quindi variano la forza con cui lo tengono. Occorre imparare a sostenere senza trattenere, ad essere fluidi nel movimento come lo è l’acqua, lasciando che il bambino si muova libero e, nello stesso, tempo sentendosi sostenuto  da mani delicate. È per questo che lavoro molto con i genitori affinché acquisiscano, soprattutto nelle spalle e nelle braccia, quella capacità e leggerezza che permetterà loro di essere armoniosi e rilassati. Li sollecito ad osservare la loro postura e anche a sperimentare il rilassamento insieme al bambino: osserviamo la respirazione per calmare la fretta; mettiamo nel lavoro l’espirazione sonora con le bolle, facciamo fontanelle con la bocca e le bolle nel contatto con il bambino. Cantiamo... i bambini sono affascinati dal canto. Facciamo variazioni di equilibrio con diversi modi di camminare. Un’esperienza di relazione tra l’adulto e il bambino come questa è difficile da documentare fotograficamente. I parenti che vogliono avere qualche ricordo possono per  portare sul piano vasca cineprese e macchine fotografi che negli ultimi cinque minuti di lezione. Questo rappresenta il segnale che il lavoro è finito. Infatti il genitore cambia immediatamente atteggiamento, smette di essere parte della relazione perché vorrebbe riuscire a documentare tutte le cose che il bambino sa fare, qualche volta rischiando di forzarlo a dimostrare le sue capacità.
Nel corso dell’esperienza che facciamo insieme, i bambini prendono sempre più confidenza con l’acqua, e imparano a divertirsi. I loro genitori hanno la possibilità di provare a costruire la relazione con i loro bambini, dando loro fiducia, riconoscendo le loro risorse e imparando ad aspettare e assecondare la maturazione di comportamenti in un elemento totalmente nuovo e ricco di potenzialità di movimento, come è l’acqua.

venerdì 10 maggio 2013

Diventare Genitori 2013


ASPETTI PSICOLOGICI E RELAZIONALI ALL'INTERNO DELLA FAMIGLIA 

(RAPPORTI GENITORI, NONNI ED EVENTUALI ALTRI FIGLI) (1)

Dr.ssa Cristina Pratesi
Responsabile SOS Salute Mentale Infanzia Adolescenza 6-7
(Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio, Fiesole, Calenzano, Signa, Vaglia)

Aspettare un bambino, che sia desiderato o no, “programmato” o meno, costituisce un momento cruciale nella vita di una donna e rappresenta un’esperienza unica che coinvolge intensamente il suo corpo e la sua mente.
Troppo spesso la parte “psicologica” della gravidanza, viene trascurata, passa in secondo piano, come se la fisicità, la concretezza organica dell’essere incinta occupasse tutta la scena e convogliasse, accentrasse su di sé l’attenzione di tutti.
Quindi si tende a parlare molto di esami medici, di accertamenti vari, di mutamenti fisici, oppure di nausea, di vomito, di mal di schiena, ci si occupa di prevenzione delle smagliature, delle ragadi al seno, fino ad arrivare – in quei luoghi come erano i vecchi “corsi di preparazione al parto” -–ad apprendere tecniche di respirazione, di rilassamento muscolare per facilitare il momento del parto, permettendo alla donna di modulare il dolore fisico delle contrazioni.
Tutto questo è senza dubbio importantissimo, ma – visto che siamo composti da corpo e mente - cosa accade nella psiche mentre il processo biologico che dà origine alla vita di questa nuova creatura si instaura ed evolve?
Ebbene, all’inizio di esso corrisponde simultaneamente l’avvio di un altro processo - tutto mentale, in gran parte inconsapevole, inconscio - che porta di nuovo alla ribalta psichica della donna le fasi precedenti del suo sviluppo psicologico, in uno scenario in cui si rievocano emozioni che hanno a che fare con la nascita e con tutto il ciclo vitale.
La gravidanza si denota perciò come un momento di crisi psicologica che mobilita ansie e conflitti irrisolti e latenti, che son stati accantonati nel corso della crescita, dell’infanzia, ma contemporaneamente si apre alla maturazione, all’evoluzione, originando una nuova identità femminile: quella di madre.
Non nasce quindi solo un bambino, nasce anche una madre. (2)
E contemporaneamente nasce anche un padre.
E’ perciò molto importante la frequenza agli incontri con lo psicologo al corso di preparazione alla nascita (CAN), che permettono la condivisione di un’esperienza e la creazione di un’intimità fra donne, aiutano a prendere contatto con il proprio corpo e le sue trasformazioni, e inducono a avvicinarsi e riflettere sulle proprie fantasie e pensieri.
Offrono cioè alla gestante la possibilità di fare l’esperienza di uno spazio e di un tempo, in cui possono esser comunicate - e quindi possono “venire alla luce” - le ansie, le paure, l’ambivalenza, che ogni futura mamma prova, che sono normalmente presenti in ogni gravidanza, proprio perché, come si è detto, ogni gravidanza è un periodo di conflitti inevitabili che cambiano in funzione della storia personale e delle circostanze del momento
Partecipare al corso permette quindi alle donne in stato interessante e anche ai futuri papà di avvicinarsi a figure, come quella dello psicologo, altrimenti percepite come “minacciose”, perché ritenute - a torto - titolari di uno spazio riservato alla malattia mentale.
Non a caso, spesso noi psicologi siamo assimilati ai colleghi psichiatri sotto la comune qualifica di “strizzacervelli”!
Il nome stesso rimanda a pratiche violente, dolorose, sgradevoli e sgradite…
Conoscere lo psicologo durante il corso facilita invece enormemente l’apertura alla possibilità di un eventuale colloquio.
Sappiamo tutti molto bene quanto sia importante – in ogni situazione che implica un percorso sanitario – la qualità delle relazioni che si instaurano, il tipo di risposta che si riceve quando siamo “utenti”, “pazienti” di un Servizio.
Credo che ognuno di noi abbia presente qualche racconto in cui un paziente è stato trattato male, bruscamente o con sufficienza … anche senza arrivare alla “mala sanità”, magari restando solo nell’ambito di una “mala educazione”!
Allora, ci possiamo rendere conto dell’importanza che ha e del peso che può avere a maggior ragione tutto il dispositivo sanitario che accompagna la donna – ma anche il suo compagno, il futuro papà – durante i 9 mesi dell’attesa, durante il parto e dopo il parto, in tutte le prime fasi di vita del bebè.
Soprattutto: il clima che la donna in stato interessante sentirà attorno a sè, si potrà riflettere sulla relazione madre-bambino, sul rapporto di coppia, sul crearsi di questa nuova famiglia: se ci pensiamo un attimo, per noi operatori è una responsabilità enorme!
Pensiamo ad esempio al momento delle ecografie, dell’amniocentesi, della villocentesi, al momento in cui il sanitario deve “restituire” alla futura mamma e al futuro papà i risultati di questi accertamenti.
Al giorno d’oggi, nell’era delle biotecnologie, gli esami ecografici sono ormai di routine e permettono alla donna di ricevere un’esperienza sensoriale del suo bambino, mediante la vista, precedente a quella del sentirlo muovere dentro di sé. Le implicazioni psicologiche che comporta il vedere il bebè attraverso l’ecografia però sono molte e complesse: l’immagine ecografica è frammentata, parziale e molto diversa da quella di un bambino reale, tanto da attivare più facilmente ansie e paure.
E’ necessaria quindi la presenza di un ecografista che con grande sensibilità accompagni la donna incinta alla scoperta del suo bambino, per non ridurre ad un atto puramente ‘tecnico’ quello che invece potrebbe diventare un momento fondamentale per l’inizio della consapevolezza della genitorialità imminente.
Se pensiamo quindi al “clima” in quel periodo che dicevamo in precedenza, possiamo renderci conto di quanto bisogno abbia la donna di una figura di riferimento e di sostegno vicino a sé, di quanto già spontaneamente ricerchi la presenza della propria madre o di un’altra figura femminile che la sostituisca (come una sorella, una cognata, un’amica), del proprio compagno, del ginecologo, dell’ostetrica.
Certamente i rapporti nella coppia con l’arrivo di un bebé cambiano.
Altrettanto certamente cambiano i rapporti all’interno di tutta la famiglia, sia nel caso ci siano già altri figli (che potrebbero sentirsi “spodestati” dal nuovo venuto e quindi provare disagio, gelosia, potrebbero “regredire” nella speranza di attirare l’attenzione del genitore ecc.) sia con i propri genitori e i suoceri (che diventano nonni quindi sentono di invecchiare, di perdere il ruolo di genitore che finora era loro e non sempre riescono ad accettare questo “avvicendamento” naturale).
Non sempre questi cambiamenti sono facili da affrontare: i problemi che possono insorgere hanno però sempre un “perché” sottostante, che da soli non è possibile individuare, malgrado tutta la buona volontà, l’impegno e magari anche la convinzione di saperlo a priori!
Anche per essere aiutati a sciogliere queste dinamiche - che rischiano di far vivere con grande disagio momenti che altrimenti potrebbero essere davvero sereni ed importanti – rivolgersi alle figure di sostegno e di riferimento (ostetrica, psicologo) deve essere visto non come una sconfitta o una dimostrazione di incapacità personale, ma come uno strumento in più da poter utilizzare per il benessere proprio, della coppia, del bambino e della famiglia.

Bibliografia:
    “Un tempo per la maternità interiore. Gli albori della relazione madre - bambino” a cura di Gina Ferrara Mori, Borla ed, Roma 2008 (capitoli “La pre-infant observation” e “Essere accolte nella consultazione” di Cristina Pratesi)
1 Tutto questo avviene soprattutto quando si tratta della prima gravidanza; ma comunque ogni gravidanza induce trasformazioni ed ha il suo proprio significato specifico, collegato all’esperienza emozionale infantile della donna in stato interessante, ed in ogni caso offre alla futura madre un’occasione unica di integrazione e quindi potenzialmente di crescita psicologica.

2 Il presente testo è una versione molto ridotta ed “accorpata” di alcune relazioni presentate a Campi Bisenzio (Firenze, Incontri Informativi Villa Montalvo ), a Pordenone (Corso “Assistenza ostetrica alla gravidanza fisiologica”), a Monza (convegno La trama e l'ordito del nascere: il territorio e un grembo che accoglie? ), a Mirandola (Modena, Convegno “Il benessere della mamma, il piacere del bambino) a Sesto Fiorentino (La famiglia che cambia. II° Settimana Sestese dell'Allattamento)